NOTE DI REGIA Inaugurare con Madama Butterfly la Stagione lirica 2006 della Fondazione Teatro Coccia di Novara potrebbe sembrare, apparentemente, un ritardo sul traguardo centenario dell’opera (Teatro alla Scala di Milano, 17 Febbraio 1904); a ben vedere, invece, sottolinea che l’esecuzione abitualmente oggi rappresentata e che noi tutti conosciamo, è il frutto di una terza modifica su gli originari partitura e libretto (quindi quarta e definitiva edizione) che Puccini adottò per l’allestimento parigino all’Opéra-Comique del 1906. Le differenze drammaturgiche (oltre a quelle musicali) apportate nelle quattro versioni sono di notevole spessore: si rende meno stridente (pur conservando una buona dose razzistica) il contrasto tra le due culture, nipponica e “yankee”; si intensifica il clima amoroso nel duetto che chiude il primo atto; il secondo atto viene diviso in due parti (con grande rammarico del compositore) perché considerato troppo lungo; si inserisce “Addio fiorito asil…” in forma di romanza non chiusa che permette al tenente della Marina americana di maturare, attraverso nostalgica rievocazione, pentimento; si toglie a Kate (la seconda signora Pinkerton) quasi tutta la parte per darla al console, facendo così diventare la “donna bionda” un personaggio quasi indistinto e quindi più temibile (la paura generata da ciò che non si conosce); la scena del suicidio viene abbreviata innescando una maggiore tensione drammatica. Attraverso queste evoluzioni, la “crisalide” di Puccini, Illica e Giacosa del 1904 diviene, nel 1906, una splendida “farfalla”. Il soggetto (tratto dal dramma di David Belasco Madame Butterfly e originato, a sua volta, dal racconto Madam Butterfly di John Luther Long con riferimento all’autobiografico romanzo Madame Chrysanthème di Pierre Loti) è perfetta espressione della cultura negli anni a cavallo tra XIX° e XX° secolo: l’ambientazione esotica, non solo come ideale ispirazione dell’Arte Liberty ma, anche, come luogo alieno entro il quale situazioni estreme e assumere la dimensione del possibile e la meticolosa costruzione del personaggio protagonistico che offre terreno fertile alla decifrazione psicanalitica (argomento di grande interesse al fin de siècle). Al primo atto è affidata la funzione di prologo: maggior spazio è concesso al “colore” della location (assolutamente necessario alla comprensione comportamentale delle figure agenti nella vicenda);le radici delle differenze tra oriente ed occidente (anche in una visione filosofica), iniziano qui ad affondare e il manifestarsi della felicità (effimera, come effimera tutta è la felicità) di Cio-Cio-San, crea forte contrasto con l’atto secondo nel quale, invece, si ha lo sviluppo dell’azione vera e propria in un crescendo continuo e inesorabile di sensazionale drammaticità che culmina con l’autodistruzione dell’eroina. La paternità latente ed al contempo protettiva nei confronti della piccola geisha, emerge dal ruolo di Sharpless (erede dei padri verdiani) acuendo ulteriormente lo sviluppo di uno dei temi fulcro (le diversità) e pone il console in una concezione morale diametralmente opposta a quella di Pinkerton; in parallelo, si possono leggere i personaggi di Suzuki e Goro. La situazione di costante “perdita”, rappresenta il cardine della claustrofobica prigione mentale che si forma nella giovane giapponese: Butterfly perde il padre, l’agiatezza, la religione, i familiari, lo sposo ed infine, il figlio; trascorre l’esistenza sospesa su instabili percorsi emotivi al di sopra della realtà (soluzione unica per poter sopportare tale condizione) e solo con il suicidio, ritorna alla dimensione della verità. La figlia del Sol Levante riconosce in Kate la materializzazione del sogno che ha inseguito nella sua breve vita (muore a diciotto anni) e nell’unica occasione nella quale con lei interloquisce, con struggente pateticità e rassegnazione, le dice: “Sotto il gran ponte del cielo non v’è donna di voi più felice”. Massimo Pezzutti SCENOGRAFIA di Gisella Bigi Lo studio dell’impianto scenico parte da una precisa concezione registica di Massimo Pezzutti; spazi e volumi atti a costruire una “scatola” capace di contenere il divenire di atmosfere dalle molteplici sfaccettature, a volte, così rarefatte da essere quasi impercettibili e perfette per esaltare lo svolgersi del dramma senza, su questo, esercitare una qualsiasi forma di invadenza; si coglie il fascino dell’Estremo Oriente in una coscienza di forme semplici, lineari con elementi architettonici essenziali, simbolici e suggestivi. La prospettiva teatrale viene accentuata dal fondo della scena, realizzato con disegni di luce che creano illusione di grande profondità in uno spazio indefinito. I piani mobili con un movimento su guide, per uno spostamento rettilineo e fluido, formano i diversi ambienti; telai perfettamente a piombo ne esaltano gli effimeri confini per perderli un attimo dopo nella trasparenza delle sagome.Con questo lavoro di “pulizia” (dove tutto il “necessario” è presente e dove tutto ciò che è “orpello” è bandito), si è voluto procedere per restituire agli eventi che incontrano Madama Butterfly, il senso intrinseco della forza drammatica che conduce al finale noto ma che, da sempre, rinnova la sua grande spettacolarità.