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21/09/2023 18:09
Le motivazioni della condanna di primo grado a 4 anni comminata a Vincenzo Bertè per aver appiccato l’incendio al suo deposito di rifiuti a Mortara il 6 settembre 2017 verrà depositata attorno a Natale. In quell’occasione il giudice spiegherà perché ha ritenuto l’imputato colpevole. Seguendo l’andamento processuale, sono cinque gli elementi che, più di altri, sembrano aver contribuito a formare l’accusa: la testimonianza dell’ex moglie Sabrina Zambelli, quella del custode Paolo Petru, il movente, la posizione del muletto e il cancello lasciato aperto. Si è tanto parlato delle deposizioni di Sabrina Zambelli e Paolo Petru, che accusano apertamente Vincenzo Bertè di aver appiccato l’incendio per evitare il controllo programmato dell’Arpa, ma meno si sono analizzati i due elementi oggettivi su cui pubblico ministero e parti civili hanno insistito molto e che potrebbero essere stati parimenti decisivi: il muletto e il cancello. Allo spegnimento dell’incendio, il muletto è stato trovato completamente bruciato nella zona dove era ammassata la carta. Non avrebbe dovuto trovarsi lì. Il suo rimessaggio era da tutt’altra parte e, il pomeriggio prima dell’incendio, l’autista l’aveva regolarmente parcheggiato al suo posto. Il custode ha raccontato di aver spostato il muletto, qualche ora dopo, su preciso ordine di Vincenzo Bertè, il quale, in tribunale, ha affermato invece che fosse stato lasciato lì perché “era finita la benzina”. L’incendio sarebbe partito proprio da quel punto. A dire dell’imputato, perché i topi avrebbero rosicchiato i cavi provocando un corto circuito. “Una ricostruzione fantasiosa” per l’accusa, secondo cui il muletto era stato messo lì apposta per depistare le indagini e fornire l’appiglio per una possibile spiegazione accidentale dell’innesco. C’è, infine, la questione del cancello: Sabrina Zambelli spiegò che il marito aveva disattivato, nel giorno precedente all’incendio, l’impianto elettrico che lo automatizzava, perché le fiamme avrebbero fatto mancare l’elettricità bloccando la chiusura e rendendo di fatto impossibile l’ingresso ai vigili del fuoco. Una precauzione, uno scrupolo per non ostacolare i soccorsi. Ebbene, il cancello, nella notte tra il 5 e il 6 settembre, come confermato da due testimoni (il custode e la sua compagna) era effettivamente stato lasciato accostato e non era chiuso elettricamente. Il cancello automatico disattivato, il muletto fuori posto, l’incendio: tutto nel giorno previsto per il controllo Arpa. Una serie di circostanze che, insieme alle testimonianze, hanno per ora portato alla condanna di Vincenzo Bertè, che potrà comunque fare appello una volta che saranno rese note le motivazioni della sentenza.