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27/06/2025 13:47
Milano si è fermata per una sigla. Ma dietro quelle quattro lettere – SCIA – non c’è un abuso, bensì una procedura legittima e prevista dalla legge.
negli ultimi mesi, l’inchiesta sui presunti abusi edilizi a Milano ha avuto un effetto paralizzante. Interi cantieri si sono fermati, e la macchina dell’edilizia ha rallentato fino quasi a bloccarsi. Alla base, c’è un equivoco diffuso: che la colpa sia dell’uso della SCIA al posto del permesso di costruire. Ma è davvero così?
Abbiamo provato a capirlo con chi i cantieri li vive ogni giorno. Perché la verità è che SCIA e permesso, almeno nella pratica, non sono poi così diversi. Stessi documenti (anche oltre cento allegati), stessi tempi lunghi — a volte più di un anno — e stesso controllo da parte dell’amministrazione. La SCIA non è un escamotage, ma uno strumento normativo che consente la ristrutturazione, anche con demolizione e ricostruzione, risparmiando suolo e ridando vita agli edifici dismessi. Un approccio scelto dal Comune per contenere l’espansione urbana e incentivare il riuso degli spazi abbandonati, spesso ben serviti dai trasporti e inseriti nel tessuto urbano.
Ora, però, nel clima di incertezza, il Comune ha avviato una conversione di tutte le SCIA in permessi di costruire. Un cambio che, al di là della forma, non tocca la sostanza: la mole documentale resta invariata.
Il problema vero è più profondo. In assenza di linee chiare, ogni interpretazione normativa può bloccare progetti già avviati, modificare criteri in corsa e far perdere volumetrie già autorizzate. Intanto, i professionisti si muovono tra regole che cambiano e pratiche da rifare.
Ma il tema riguarda tutta Italia: il futuro passa dalla rigenerazione urbana. E serve una normativa certa, che favorisca il recupero dell’esistente senza trasformare ogni cantiere in un caso giudiziario.