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05/09/2025 17:22
Un’intera comunità passata al setaccio, nella speranza di arrivare presto a un volto e a un nome. È la strada scelta dagli inquirenti per dare una svolta al caso della diciottenne aggredita e violentata nella notte tra sabato 30 e domenica 31 agosto vicino alla stazione ferroviaria di San Zenone al Lambro, una ventina di chilometri a sud dal capoluogo lombardo. Martedì 3 settembre verso sera, su ordine della procura di Lodi, i carabinieri si sono presentati alla “Casa Papa Francesco”, il centro di accoglienza che si trova a poche centinaia di metri dal luogo della violenza. Qui vivono circa duecento migranti: tutti, senza eccezione, si sono sottoposti ai tamponi per la raccolta del Dna. Un gesto volontario, nessuno si è tirato indietro.
I campioni sono già stati inviati ai Ris di Parma, che li confronteranno con la traccia biologica isolata sul corpo della giovane vittima. È da lì che potrebbe arrivare la chiave per identificare l’aggressore, che quel sabato sera – attorno alle 23 – ha sorpreso la ragazza mentre percorreva via del Bissone per raggiungere lo scalo e prendere il treno per tornare a casa a Milano. Era reduce da una serata passata con la sorella: non ha fatto in tempo a salire sul convoglio. È stata afferrata, colpita, trascinata tra la vegetazione e abusata. Nonostante il trauma, è riuscita a chiedere aiuto chiamando il 112.
Parallelamente, le indagini stanno passando al vaglio i filmati delle telecamere di sorveglianza che monitorano le strade vicine. Nessuna riprende direttamente il punto in cui si è consumata la violenza, ma la speranza è ricostruire almeno il percorso di avvicinamento o di fuga dell’uomo. Altro fronte è quello delle celle telefoniche: l’analisi del traffico mobile potrebbe permettere di restringere l’elenco dei presenti in quell’area a quell’ora.
La descrizione fornita dalla giovane – un uomo di carnagione scura con capelli ricci – resta troppo vaga per chiudere il cerchio, ma sufficiente per indirizzare le prime verifiche all’interno del centro di accoglienza, che conta una cinquantina di stanze e sorge a meno di 500 metri dal luogo dell’agguato.