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30/05/2025 16:20
Ancora un’evasione dal carcere di Bollate, nel giro di meno di tre settimane. Dopo il caso di Emanuele De Maria, che aveva ottenuto il permesso di lavorare all’esterno e si era poi reso protagonista di un omicidio-suicidio, questa volta a far perdere le proprie tracce è stata una detenuta di 55 anni, di origine rom, con un profilo criminale definito “di alto spessore” dagli inquirenti.

La donna, nata a Torino e condannata per rapina a mano armata, furto aggravato e violazione della legge sulle armi, si trovava in regime di semi-libertà ed era stata ammessa al lavoro esterno. Martedì sera, però, non ha fatto rientro nell’istituto penitenziario alla fine del turno. Immediatamente sono scattate le ricerche da parte del personale in servizio e fuori servizio.

La situazione si complica perché la donna potrebbe essere fuggita con il compagno, anche lui ex detenuto e ora irreperibile. Non si esclude però che sia stata costretta a scappare e sia in pericolo, visto che in passato era rientrata in carcere con lividi. Finora aveva sempre rispettato le regole e presto avrebbe potuto ottenere l’affidamento ai servizi sociali.

La nuova evasione riaccende le polemiche sulla gestione del carcere di Bollate, istituto noto per il suo approccio riabilitativo e l’uso di misure alternative alla detenzione classica.

La precedente evasione, quella di Emanuele De Maria, ha avuto un epilogo drammatico. L’uomo, che da due anni usufruiva del permesso per lavorare come receptionist in un hotel, il 9 maggio ha ucciso una collega con cui aveva una relazione, ha ferito un altro dipendente e infine si è tolto la vita gettandosi dal Duomo di Milano.

Due episodi ravvicinati che fanno tremare la fiducia nel sistema delle pene alternative. E ora la direzione del carcere, già sotto pressione, dovrà affrontare un nuovo fronte critico.