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18/09/2023 18:18
Vincenzo Bertè ha volontariamente appiccato le fiamme al suo deposito di rifiuti di Mortara all’alba del 6 settembre 2017. È quanto ha decretato la sentenza di primo grado del tribunale di Pavia emessa dal giudice Elena Stoppini, che ha di fatto accolto la tesi del pubblico ministero Paolo Mazza. La richiesta dell’accusa era per una pena di 5 anni. Il giudice ha emesso una condanna a 4 anni, con la pena accessoria di 4 anni di interdizione dall’attività imprenditoriale. Vincenzo Bertè è stato inoltre condannato a pagare ingenti somme di provvisionale alle parti civili: 25.000 euro all’associazione Futuro Sostenibile e 50.000 euro al comune di Mortara. Si farà poi un’ulteriore causa civile per definire i risarcimenti, con il comune di Mortara che ha chiesto 400.000 euro di danni d’immagine. Questa sentenza, intanto, mette un primo punto sull’incendio che per giorni ha tenuto con il fiato sospeso Mortara e l’intera Lomellina.
A ribaltare il campo sono state le dichiarazioni della superteste Sabrina Zambelli, ex moglie di Vincenzo Bertè, che nel 2019 si presentò alla Guardia di Finanza raccontando che, la mattina dell’incendio, il marito la svegliò tenendo in mano un accendino e affermando: “L’ho fatto”. Partì un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia da cui si arrivò a formulare un’accusa per traffico illecito di rifiuti e bancarotta fraudolenta nei confronti di Vincenzo Bertè e del suo socio Andrea Biani, e, come effetto domino, l’imputazione nel processo relativo all’incendio cambiò da colposa a dolosa. Ad accusare il titolare della Eredi Bertè, però, non sono state soltanto le parole dell’ex moglie. Anche il custode del deposito di via Fermi ha testimoniato spiegando che il suo datore di lavoro gli aveva chiesto di appiccare le fiamme e, di fronte al rifiuto del dipendente, aveva affermato: “O lo fai tu, o lo faccio io”. Ci sono stati poi ulteriori elementi con cui il pm ha costruito l’accusa e consolidato l’attendibilità delle testimonianze. La difesa, invece, ha puntato molto su un aspetto che il processo non è riuscito a chiarire, e cioé sul come si sia sviluppato l’incendio. L’avvocato Perla Sciretta, tenendo appoggiato davanti a sé per tutta la durata dell’arringa difensiva un accendino Bic nero, identico a quello citato dalla testimonianza della superteste Zambelli, si è chiesta come fosse possibile provocare un incendio di quelle dimensioni soltanto con un accendino, visto che non si è mai riusciti a capire se sia stato utilizzato o meno un accelerante. Il giudice, in ogni caso, ha pienamente accolto la tesi dell’accusa. Entro 90 giorni saranno depositate le motivazioni.