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05/05/2025 16:56
“Sono esploso dalla rabbia. Ho preso il coltello e dopo il primo colpo non ho capito più nulla. Non ricordo altro”. È quanto ha dichiarato Khalid Achak, 50 anni, di origini marocchine, durante l’interrogatorio di convalida dell’arresto per l’omicidio della moglie Amina Sailouhi, 43 anni, avvenuto sabato sera nella loro abitazione a Settala, alle porte di Milano. A chiamare i soccorsi è stata la figlia di 10 anni, testimone dell’orrore.

L’uomo ha risposto per circa un’ora alle domande del gip Emanuele Mancini, cercando di ricostruire – tra vuoti di memoria e dichiarazioni confuse – i momenti precedenti al delitto. Ha parlato di un litigio scoppiato due giorni prima per un banale capriccio della figlia, della difesa che lui avrebbe preso nei suoi confronti, e della tensione crescente con la moglie. Poi la miccia: Amina, secondo il suo racconto, avrebbe minacciato di autoinfliggersi delle ferite per denunciarlo. Sarebbe stato quello, ha spiegato, il momento in cui ha perso il controllo. Dopo la prima coltellata – una delle dodici inferte – avrebbe avuto un “vuoto di memoria”.

Nel suo racconto, Khalid ha parlato di un matrimonio "combinato", non basato sull’amore, e di crescenti tensioni familiari. Ha anche espresso il timore – definito dal suo avvocato Giorgio Ballabio una vera e propria “ossessione” – che i parenti della moglie volessero sottrargli beni e proprietà. “Sono dispiaciuto, la vita non si toglie”, ha dichiarato durante l’interrogatorio.

Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, la figlia – unica testimone dell’omicidio – avrebbe cercato disperatamente di fermare il padre gridando “Papà, no!”. Il suo urlo è stato udito anche da un vicino di casa. La piccola è poi riuscita a contattare il 118 circa un’ora dopo, ma la telefonata è stata interrotta dal padre, che si è impossessato del cellulare e ha insultato l’operatrice prima di chiudere la comunicazione. Ora è stata affidata a uno zio materno.

Il pubblico ministero di Milano, Antonio Pansa, ha chiesto la convalida dell’arresto e la custodia cautelare in carcere per Achak con l’accusa di omicidio volontario aggravato: dall’aver agito in stato di ubriachezza, dalla presenza della figlia minorenne, e dal fatto che la vittima era la sua coniuge.

Il delitto, definito “particolarmente efferato” dal pm, si inserisce in un contesto di violenza domestica già noto alle autorità. Nel novembre 2022, Amina aveva denunciato il marito per maltrattamenti, riferendo episodi di percosse e minacce di morte. La Procura stava per chiudere le indagini con la richiesta di rinvio a giudizio, ma non erano state ritenute necessarie misure cautelari: dopo l’attivazione del “codice rosso”, infatti, la donna aveva rifiutato per due volte il trasferimento in una casa protetta, e non erano pervenute ulteriori segnalazioni.